Nato dalla collaborazione tra undici istituti di ricerca europei, questo piccolo automa simula dimensioni e comportamenti di un bimbo di tre anni.
in un grande progetto open source, accessibile a tutti su internet, che vede gli italiani protagonisti.
Sono ben 11 gli istituti di ricerca europei che concorrono alla realizzazione di iCub, il robot bambino. Sono enti italiani, britannici, portoghesi, svizzeri, svedesi uniti in un consorzio, denominato RobotCub, che è anche un progetto europeo. Non solo. Finanziato dall’Unione Europea e in particolare dall’Unità di sistemi cognitivi e robotica (E5), questa è anche una grande iniziativa open source, dove tutti i risultati confluiscono su internet, sono a disposizione di chiunque e si avvantaggiano dei contributi che attraverso la rete provengono dai vari istituti che partecipano al progetto.
Qual è l’obiettivo di RobotCub? «È duplice – spiegano in un documento i responsabili – e si indirizza su due obiettivi principali: da un lato creare un nuovo robot umanoide dalle caratteristiche avanzate, iCub appunto, che ha lo scopo di supportare la ricerca europea sulla cognizione. D’altro canto l’obiettivo è far progredire la nostra comprensione in vari aspetti chiave della cognizione, utilizzando proprio questa piattaforma, e il suo continuo sviluppo, come uno strumento di investigazione delle capacità cognitive».
Obiettivo affascinante
A pensarci bene, quella di iCub si presenta come una missione affascinante, perché è una vera e propria esplorazione delle capacità cognitive delle macchine, ma soprattutto, delle potenzialità dei ricercatori e della scienza attuali, che si stanno misurando con problemi di base, ma essenziali per far funzionare come si deve, in un ambiente complesso, qualsiasi robot a venire. Il vero problema di queste macchine è percepire l’ambiente circostante, individuare gli oggetti, riconoscerli e afferrarli, muoversi in uno spazio evitando gli ostacoli, capire gli stimoli esterni, per esempio quelli proposti da un eventuale “padrone” e tradurli in azioni da svolgere e portare a termine.
Noi abbiamo visto iCub agli inizi del progetto: era il 2005 e nei laboratori genovesi del LiraLab, dove allora il robottino era ancora in fase embrionale. Gli esperti dell’istituto di ricerca, primo fra tutti Giorgio Metta che ancora oggi lavora al progetto, ci mostrarono una struttura ancora informe, ancora un semplice scheletro composto da elementi ancora grezzi. Più un insieme di bulloni, giunti e snodi che qualcosa di simili a un umanoide. Esisteva già un abbozzo della testa, anche una maschera di silicone con tratti morbidi e aggraziati.
Accanto a questa primissima versione di iCub c’era anche il NanoBot, un grande “robottone” con un abbozzo di faccia e una mano, già capace dietro opportune istruzioni di afferrare oggetti grandi e colorati, per renderli ben distinguibili in un ambiente complesso. Molte delle conoscenze acquisite con NanoBot sono confluite nel suo più piccolo “fratellino, che oggi, cinque anni dopo quella visita molto precoce, si è completamente trasformato. Vedendolo adesso il robot bambino sembra davvero il cigno sviluppatosi dal brutto anatroccolo.
Dimensioni compatte
iCub è un robot umanoide con 53 gradi di libertà, capace quindi di un gran numero di movimenti (per fare un confronto, il braccio umano è dotato di 7 gradi di libertà). Ha le dimensioni di un bambino di tre anni e mezzo ed è capace di “gattonare” su mani e ginocchia e di sedersi. Le mani consentono una manipolazione completa, mentre testa e occhi sono completamente articolati, in grado di compiere tutti i movimenti tipici anche dell’essere umano. Il robot possiede anche capacità visive, vestibolari (ha cioè il senso dell’equilibrio), uditive e sensorie (percepisce cioè il contatto con oggetti, anche se non ha ancora una tattilità paragonabile a quella umana).
La particolarità di questo progetto consiste anche nell’essere una piattaforma aperta, a cui possono contribuire utenti e sviluppatori in tutte le discipline coinvolte, dalla psicologia alle neuroscienze cognitive fino alla robotica epigenetica, che si occupa cioè dello sviluppo della mente robotica. Tutti quindi possono personalizzare iCub o utilizzarlo liberamente (sotto licenza Gpl). Tanto che online, con accesso dai siti www.robotcub.org oppure www.icub.org è possibile scaricare e consultare i manuali per l’hardware e per il software e perfino acquistare i componenti: braccia, gambe, testa, ma anche sensori, la scheda madre alloggiata nella testa e altre schede con funzioni di controllo alloggiate nel torace dell’automa. Il tariffario non è proprio a buon mercato: la testa da sola vale 25 mila euro, il sistema braccio e mano 75 mila euro, gambe e torso, con 15 gradi di libertà costano 55 mila euro.
undici papà per il robot bambino
Il consorzio RobotCub, che ha sviluppato iCub, è composto da 11 istituti:
• LiraLab, Università di Genova, Dipartimento di informatica, sistemistica e telematica
• Scuola superiore Sant’Anna, ArtsLab di Pisa (www.artslab.sssup.it)
• Laboratorio di intelligenza artificiale dell’Università di Zurigo (Svizzera)
• Dipartimento di Psicologia dell’Università di Uppsala (Svezia)
• Dipartimento di Scienze biomediche e fisiologia umana – Università di Ferrara
• Department of Computer Science, Università di Hertfordshire (Regno Unito)
• Laboratorio di Computer Vision e Robotica dell’Ist di Lisbona
• Università di Sheffield (Regno Unito)
• Autonomous System Lab dell’Università di Losanna (Svizzera)
• Telerobot Srl (Genova)
• Istituto Italiano di Tecnologia (GE)
formazione internazionale
Il sistema open source è stato articolato per agevolare in tutto e per tutto i ricercatori che volessero inserirsi nel programma e realizzare un proprio iCub. Nella sede genovese dell’Iit è stata anche allestita una struttura, il Research and Training Site (Rts) per gli scienziati di tutto il mondo che intendono fare pratica e condurre ricerche prima di impegnarsi direttamente alla costruzione di un proprio iCub. Nella struttura sono custoditi e mantenuti in perfetta efficienza tre esemplari del robottino. Il centro Rts ha un programma di corsi per ricercatori e studenti su vari aspetti: costruzione, utilizzo e sviluppo di iCub.
Del resto le potenzialità della macchina sono davvero sorprendenti e consentono lo sviluppo di aspetti anche inaspettati. Un gruppo di studiosi dell’Iit, tra cui lo stesso Giorgio Metta, Petar Kormushev, Sylvain Calinon e Ryo Saegusa ha addestrato l’automa, lo scorso ottobre, al tiro con l’arco. Munito di arco con frecce a ventosa e posto di fronte a un classico bersaglio, iCub ha imparato a fare centro in appena otto tentativi, valutando distanza dall’obiettivo, forza da imprimere e parabola della freccia. Un esperimento che pare un gioco, ma che mostra, tra le altre cose, le incredibili capacità di apprendimento della macchina.
Con l’andare del tempo e con il successo dell’iniziativa, si è assistito a una vera e propria proliferazione di iCub nel mondo. Nel settembre 2007 è stato lanciato un bando per la proposta di progetti di ricerca legati all’automa. I sette vincitori sono stati premiati con l’attribuzione di altrettanti robot. Sono stati considerati come più meritevoli soprattutto i progetti legati allo sviluppo delle capacità cognitive di iCub, in ossequio al motivo originario da cui è partito lo sviluppo di questo straordinario automa. I sette iCub sono quindi stati consegnati a Parigi, Londra, Lione, Monaco di Baviera, Ankara, Barcellona, Urbana-Champain (in Illinois, Usa) e altri due sono andati a Lisbona e Losanna, a due istituti che fanno parte del consorzio RobotCub. In seguito altri progetti sono stati sviluppati in università europee, come quella tedesca di Bielefeld, quella britannica di Plymouth e poi ancora al Cnr di Roma e nell’università inglese dell’Hertfordshire. Anche in questi quattro istituti sono andati altrettanti iCub. In totale, alla fine del 2009 erano una ventina i robot diffusi in altrettanti centri di ricerca di tutto il mondo.
Progetto europeo
Il progetto RobotCub, che ha portato alla nascita di iCub, è iniziato nel settembre 2004 e si è concluso ad agosto 2009. I singoli robottini continuano però a “vivere” in almeno 20 laboratori di ricerca, dove sono tuttora oggetto di sviluppi e ricerche nell’ambito di altri progetti comunitari. RobotCub è stato finanziato con 8,5 milioni di euro dal sesto Programma quadro per la Ricerca, cui si sono aggiunti 700 mila euro di altra provenienza per un totale di 9,2 milioni. Lo sviluppo del sistema cognitivo di iCub è ora finanziato da altri tre progetti comunitari: Italk, RoboSkin e Amarsi.
Approccio multidisciplinare
Il progetto iCub è stato uno dei primi nel mondo ad affrontare lo sviluppo di un’entità robotica secondo un vero approccio multidisciplinare, senza il quale lo sviluppo in questo settore non è possibile. La robotica non è solo la costruzione di un mezzo meccanico capace di simulare i movimenti umani, ma va oltre, nel tentativo di creare macchine pensanti, dotate di istinti e di conoscenze. Per questo motivo è assolutamente necessario conoscere nel dettaglio i meccanismi della mente umana e cercare di tradurli dapprima in algoritmi e poi in software che possano costituire “l’anima” della macchina. Per produrre tutto questo è necessario il concorso di esperti in varie discipline: cibernetica, biofisica, bioingegneria, robotica antropomorfa, neuroscienze computazionali.
A questo si aggiunge anche la necessità di produrre componenti, che devono rispettare severi standard qualitativi. Per questo scopo le strutture di Genova che hanno condotto la gran parte dello sviluppo di iCub si sono appoggiate a una società del capoluogo ligure, Telerobot, specializzata proprio nello sviluppo di componentistica per la robotica.
Tutti questi aspetti fanno di iCub un’esperienza davvero unica nel mondo della robotica e un vero punto d’orgoglio per l’Italia. Non è un caso se intorno a questo progetto, incentrato sui laboratori genovesi dell’Iit, si sia concentrato un autentico interesse internazionale, che ha portato nel nostro Paese ricercatori di molti stati europei. Decisamente in controtendenza con la gran parte delle iniziative di ricerca in Italia, che fanno fatica, per tutta una serie di fattori, a risultare appetibili agli studiosi stranieri. L’appeal internazionale del progetto è accentuato dalle molte iniziative formative, tra le quali spicca per esempio la RobotCub Summer School, che negli anni scorsi ha portato a Genova molti robotici in formazione.
La risonanza internazionale del progetto è stata infine sancita dalla pubblicazione sulla rivista Nature di un articolo, uscito nel 2009 (vol. 460, pp 1076-1078, scaricabile dal sito icub.org) e intitolato “Robotics: the bot that plays ball”. Nel 2010 iCub si è infine esibito a Bruxelles alla fiera-evento Ict (Information and Communication Technologies, che ha visto la partecipazione di oltre 5.000 ricercatori di tutta Europa.
DIDA:
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iCub ammicca all’obiettivo
del fotografo Massimo Brega nei laboratori genovesi dell’IIT, Istituto italiano di tecnologia, dove è stato sviluppato dagli esperti
del dipartimento di robotica
e scienze cognitive e del cervello guidati dal professor Giulio Sandini.
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Altre immagini di iCub in posa, con atteggiamenti incredibilmente umani. Del robot esistono una trentina di copie in vari laboratori europei.
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Dettaglio della mano e dello snodo del torso di iCub. A sinistra il robot accudito da un ricercatore dell’Istituto italiano di tecnologia.