Al museo con il robot critico d’arte

Sciarpa bianca, soprabito e cappello, se ne sta tranquillo e silenzioso ad ammirare le opere d’arte esposte sale del Musée du quai Branly, che si trova sul Lungosenna a Parigi, dove sono esposti i capolavori delle arti primitive e delle civiltà d’Africa, Asia, Oceania e Americhe. Il personaggio in questione si chiama Berenson e non stupisce affatto trovarlo in questo luogo: di mestiere fa il critico d’arte. Eppure, a ben vedere, qualcosa di stupefacente c’è, eccome! Monsieur Berenson in realtà è un robot, anzi il primo robot in grado di esprimere la propria opinione in materia d’arte.

Berenson
Il robot Berenson ©Musée du quai Branly (Foto di Cyril Zannettacci, mentre quella in apertura è di Denis Vidal).

Nato da un’idea dell’antropologo Denis Vidal, dell’Università Paris-VII (Paris Diderot) e progettato da Philippe Gaussier, ingegnere robotico, docente presso l’Università di Cergy-Pontoise (Francia) e a capo del team di neurocibernetica dell’Image and Signal processing Lab (Etis), Berenson è programmato per raccogliere i dati sulle reazioni mostrate dai visitatori quando osservano un’opera d’arte. Una volta raggiunta una buona percentuale di informazioni, il robot umanoide è in grado di esprimere una propria opinione: con un sorriso se è positiva, con un cipiglio se è negativa.

 

 

Costruire il gusto

Il rilevamento delle reazioni dei visitatori avviene attraverso una telecamera installata nell’occhio destro di Berenson. Queste registrazioni sono collegate in rete con un computer posto in una parete dietro lo spazio espositivo, attraverso il quale si cntrolla il processo di apprendimento del robot. Le reazioni positive sono rappresentate come cerchi verdi, mentre quelle negative come cerchi rossi. E proprio sulla base della frequenza di cerchi rossi e verdi il robot costruisce le sue preferenze estetiche.

berenson (2)
Robot Berenson ©Musée du quai Branly (Foto di Cyril Zannettacci).

Il processo avviene tramite un simulatore di rete neurale, chiamato Prométhé, nel quale sono state simulate diverse reti neurali parallele, in modo da permettere al robot di apprendere e riconoscere differenti stimoli visivi, ma anche di muoversi liberamente nell’ambiente evitando ostacoli, frutto di numerose ricerche su come esseri umani e animali siano in grado di riconoscere un luogo, una visione, o un oggetto.

Berenson resterà al Musée du quai Branly fino a novembre.

Prev Post

Sei micro robot trascinano un’automobile!

Next Post

Clamoroso a Seul: l’Intelligenza Artificiale batte l’uomo 4-1

Read next