Agire come predatori. È il progetto al quale sta lavorando un gruppo di ricercatori dell’Istituto di neuroinformatica dell’Università di Zurigo, che di recente ha “insegnato” a un robot a cacciare la sua preda, seguendone le tracce senza farsela sfuggire. Quella usata per l’addestramento è un altro robot, ma in futuro la preda sarà l’uomo. Niente paura però, obiettivo degli scienziati svizzeri non è mettere a punto delle terrificanti macchine predatrici, ma sviluppare un software che renda i robot in grado di analizzare l’ambiente in cui si trovano e individuare il loro target in tempo reale, ovvero un essere umano, e seguirne gli spostamenti. Tutto ciò per creare robot più efficienti, in grado di fornirci servizi più avanzati: tra le possibili applicazioni alle quali pensano i ricercatori, ad esempio, una valigia che ci segua in stazione o all’aeroporto, un carrello della spesa, droni o vetture a guida autonoma capaci di riconoscere il loro proprietario e di raggiungerlo, ma tale competenza sarebbe fondamentale anche per gestire più robot che si muovono insieme.
Il modello: più pastore che cacciatore
Insomma, se davvero vogliamo pensare a un futuro nel quale i robot escano dai laboratori per assisterci nella vita quotidiana, allora le macchine hanno bisogno anche di questo tipo di intelligenza.
E cosa c’è di più efficiente per seguire una traccia di un predatore? E infatti proprio ai comportamenti dei predatori si ispirano quelli del robot, ma non per imitarli al 100%, in quanto più che al mondo della caccia i ricercatori guardano a quello della pastorizia, dove il pastore, in questo caso la persona proprietaria del robot, rappresenta il punto di riferimento per l’animale, ovvero il robot a suo servizio.
L’occhio artificiale
Centrale per il successo del progetto è lo strumento utilizzato dal robot come organo visivo: una retina di silicio sviluppata dal professor Tobi Delbruck, a capo del gruppo di ricerca. Questa retina artificiale, che Delbruck a messo a punto nell’ambito di un’altra ricerca, il progetto Visualise, finanziato nel settimo programma quadro dell’Unione europea, conclusasi lo scorso marzo, imita l’occhio umano per elaborare rapidamente dati visivi.
Un salto avanti davvero notevole rispetto alle più tradizionali fotocamere. Queste, infatti, forniscono una serie di fotogrammi, tra l’altro trasmettendoli anche lentamente, per ricostruire la traccia della preda, che diventa impossibile seguire se questa si muove rapidamente o fa di tutto per sfuggire all’inseguimento. La retina di silicio, invece, si basa sui dati raccolti a livello di singolo pixel, ognuno dei quali in modo autonomo rileva le variazioni di luce trasmettendo in tempo reale un flusso di informazioni visive al posto di una serie di immagini sconnesse.
I dati vengono poi elaborati da una rete neurale di deep learning, un software, che oltre all’analisi delle informazioni, migliora da solo le sue prestazioni. Un processo di autoapprendimento che a sua volta si sviluppa e migliora con la pratica: da qui l’allenamento cui vengono sottoposti i robot, che per il momento si esercitano a “cacciare” un loro simile.