Gli automi marini potrebbero rivoluzionare il modo di intendere l’archeologia subacquea, iniziando ad esplorare quella miniera nascosta nei fondali dei mari italiani.
È questa l’ultima frontiera dell’hi-tech che sta diventando realtà grazie ad Arrows (Archaeological Robot systems for the World’s Seas), il progetto triennale gestito da un consorzio guidato dalla Scuola di Ingegneria dell’Università di Firenze (Scuola di Ingegneria) e finanziato dall’Unione Europea con tre milioni di euro.
I ricercatori fiorentini (e degli altri paesi del team) stanno costruendo robot capaci di monitorizzare, mappare e proteggere siti archeologici sottomarini e costieri. Sono macchine in grado di spingersi dove l’uomo non può arrivare (anche per motivi di sicurezza) e dunque promettono un balzo in avanti nella ricerca.
Marta, robot marino che monitora e mappa
Come Marta, androide realizzato dai ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’ateneo fiorentino: connotato da un’architettura modulare, con un sonar e dispositivi in grado di acquisire immagini da vicino per consentire agli archeologi di esaminare un sito o un reperto senza averlo realmente esplorato.
Marta sarà protagonista dal 17 al 25 settembre, nel mare di Piombino, a Eurathlon, una manifestazione internazionale durante la quale i robot si sfideranno in uno scenario multiplo. Sarà anche simulato un effetto Fukushima e gli automi dovranno dimostrare la loro eccellenza in un ipotetico incidente in un impianto nucleare costiero.