Se tanta parte della ricerca sulla robotica è concentrata nello sviluppo di macchine che imitino e replichino il comportamento di umani e animali, c’è un filone del tutto nuovo che va in una direzione molto diversa e che punta a realizzare robot ispirati al mondo vegetale. Un filone che vede il nostro paese all’avanguardia, con il progetto Plantoid portato avanti dal Centro di Micro-biorobotica dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit), dove è stato messo a punto il primo Plantoide, ovvero il primo robot al mondo capace di imitare il comportamento delle radici di una pianta.
Sono due, su tutte, in particolare le caratteristiche delle piante che hanno attratto l’attenzione dei ricercatori del Centro di Micro-biorobotica, che ha sede a Pontedera (Pisa) e diretto da Barbara Mazzolai. La prima è la capacità di percepire molti parametri dell’ambiente all’interno del quale si sviluppano e crescono, tra i quali azoto, fosforo, luce, salinità, metalli pesanti, persino la gravità e le vibrazioni, capacità che i nostri scienziati hanno cerato di trasferire nelle loro macchine. L’altra è il fatto che le piante crescono dal basso verso l’alto, soluzione che sfruttano per penetrare nel terreno risparmiando energia. Nel suolo infatti si possono trovare pressioni e resistenze molto forti, per cui è più efficiente ed efficace procedere spingendo dal basso rispetto all’operazione in direzione opposta, che richiede molta più energia. Due peculiarità che una volta trasferite nei robot possono essere messe a frutto in una gande varietà di applicazioni.
Come funzionano i plantoidi
I prototipi realizzati dal Centro dell’Iit proprio come le piante crescono nel suolo e hanno l’unica parte che si muove rappresentata dalle radici, che va a cercare acqua e nutrienti, ma anche a evitare eventuali sostanze tossiche presenti.
Il cervello di questi robot risiede nell’estremità opposta, quella che resta in superficie, dove si trovano anche i vari sensori, tattili, di temperatura, chimici e di umidità, e una piccola stampante 3D. Una combinazione di tecnologie che permette al robot di crescere e fanno dei plantoidi dei self-creating robot, in pratica robot che si sviluppano da soli. Onfatti, è la stessa macchina a decidere, sulla base delle informazioni che riceve dai sensori in quale direzione svilupparsi e quanto. A questo punto viene attivata la stampante 3D che dipanando la matassa di Pla (acido polilattico) consente così alla radice di “crescere”. Nel video la spiegazione
Analisi del terreno, ma non solo
I plantoidi possono già eseguire un lavoro molto importante, ovvero l’analisi chimica e ambientale del suolo, operazione solitamente abbastanza costosa, e per questo fatta a campione, che diventa molto più veloce ed economica grazie ai robot. Questi riescono a fornire praticamente in tempo reale dati precisi sulle sostanze che viene chiesto loro di rilevare, che possono essere metalli pesanti, altri inquinanti, il radon. Ma possono anche fornire indicazioni sulla composizione chimica di un terreno a beneficio delle aziende agricole, complete di studio su quali concimi utilizzare e in quali quantità, in modo da evitare dosi eccessive che a lungo andare danneggiano il terreno stesso.
Funzione che in futuro potrà essere ulteriormente potenziata, ad esempio facendo comunicare tra loro plantoidi e droni in modo da integrare alle informazioni sul suolo quelle sull’aria.
Dalla medicina al soccorso
I benefici garantiti dai plantoidi possono estendersi a un settore molto lontano dall’agricoltura: la medicina. Le “radici” di questi robot sono infatti un endoscopio perfetto, perché non sono rigide, non danneggiano e non deformano i tessuti, sebbene perché tale ipotesi divenga realtà. Una possibilità affascinante, ma che resta al momento solo un’ipotesi, perché per lo sviluppo di plantoidi medicali occorrono ancora molti studi, a partire dal materiale, che dovrebbe essere compatibile con il corpo umano.
Un nuovo progetto presentato dall’Iit alla commissione europea sonda invece un’altra strada. L’obiettivo è produrre plantoidi che imitino i rampicanti, piante che crescono verso l’alto e hanno la capacità di trovare sempre una via, superando ogni ostacolo alla continua ricerca di luce. Robot così concepiti, se dotati di sensori a infrarossi, potrebbero risultare fondamentali negli scenari di crisi legati a eventi catastrofici, salvando persone sepolte dalle macerie delle strutture crollate.