Durante le lezioni amava spesso parlare delle sue esperienze americane, in particolare dei tre anni che l’avevano visto impegnato come ricercatore a Stanford, dei suoi amici “tennici” dell’IBM e dell’università (sì avete letto bene, tennici con due “n” e senza la “c”), del fatto che era stato tra i primi docenti a tenere corsi di robotica industriale e primo professore universitario italiano titolare di una cattedra in intelligenza artificiale. Marco Somalvico era davvero una persona eclettica, tutta da scoprire, a volte anche inaspettata. Come quella volta che, nel bel mezzo di una riunione del comitato tecnico-scientifico di una rivista specializzata in elettronica industriale, di cui egli faceva parte insieme ad altri professori ed esperti in materia di automazione industriale, se ne uscì con una risposta piuttosto stizzita al giovane coordinatore dell’incontro che, fresco di laurea, aveva probabilmente compiuto un errore di valutazione su un certo argomento tecnico: “Il prof. Marco Somalvico non è un trombone! E se pensate di usare il suo nome per dare pregio alla rivista vi sbagliate di grosso”.
Il giovane coordinatore, fresco di laurea in ingegneria elettronica proprio con una tesi sulla robotica, e che tra l’altro aveva seguito i corsi del prof. Marco Somalvico, ero io.
Sognando la California
A distanza di oltre venticinque anni, ricordo quell’episodio con molta simpatia ma anche con una certa tristezza, alla luce del fatto che Marco Somalvico non c’è più: un malore improvviso lo ha portato via a soli 61 anni, nel 2002, lasciando un vuoto umano, prima ancora che scientifico, in tutte le innumerevoli iniziative che egli aveva personalmente avviato o che aveva contribuito ad orientare. Oltre, naturalmente, in tutti quelli che lo conoscevano.
Nato a Como il 10 ottobre del 1941, Marco Somalvico manterrà ben salde per tutta la vita le sue origini lariane, contribuendo anche a fondare, organizzare e coordinare nella città del lago manzoniano il polo universitario distaccato del Politecnico di Milano, successo che ottenne anche grazie al concreto appoggio di altri colleghi del dipartimento di elettronica e informatica che, insieme a lui, formavano in quel periodo il cosiddetto quadrumvirato: i professori Caldirola, Casati e Della Vigna.
Laureatosi a pieni voti in Ingegneria Elettronica al Politecnico di Milano nel 1965, tanto da meritarsi la medaglia d’oro, il giovane Somalvico parte per quella che all’epoca è considerata la mecca delle tecnologie di frontiera: gli USA. In qualità di ricercatore approda alla Stanford University, “la migliore università informatica del mondo”, come soleva sottolineare con una certa vena di vanità durante le sue lezioni.
Negli Stati Uniti avrà modo di perfezionare le sue conoscenze e di muovere autonomamente i primi passi nell’ambito della ricerca, studiando fianco a fianco con ricercatori del calibro di Victor Scheinman, il papà dell’Unimate PUMA (Programmable Universal Machine for Assembly), vivendo da vicino la nascita delle grandi innovazioni che stavano avvenendo a Palo Alto e Menlo Park, ed esplorando l’intricato mondo dell’intelligenza artificiale, delle reti neurali e dell’algoritmica avanzata.
Il Politecnico di Milano saluta il prof. Marco Somalvico
Siamo nel 1969, in piena epoca di contestazione. Mentre sul palco di Woodstock nella “Three Days of Peace & Rock Music” – svoltasi dal 15 al 17 agosto di quel mitico anno in cui l’Apollo 11 portò Armstrong, Aldrin e Collins a compiere l’impresa lunare – si avvicendano artisti del calibro di Santana, Jimi Hendrix, gli Who, i Grateful Dead e i Jefferson Airplane, tanto per fare qualche nome, il ventottenne Somalvico capisce che la sua strada è tracciata e che il suo traguardo sarà quello di esplorare, diversamente da quanto fatto dai tre astronauti della NASA, il mondo della robotica avanzata e dell’intelligenza artificiale.
Messa a frutto la fantastica esperienza americana Marco Somalvico rientra in Italia e nel 1971, ancora trentenne, dà vita al progetto MPAI Milan Polythecnic Artifical Intelligence, il laboratorio di intelligenza artificiale e robotica del Politecnico di Milano che, ancora oggi, è un punto di riferimento nazionale e internazionale in ambito di ricerca, sia di base che applicata, riguardante la robotica, l’informatica e, in particolare, l’intelligenza artificiale.
Quattro anni più tardi, nel 1975, è tra i soci fondatori della SIRI, l’associazione italiana di robotica industriale, che porrà la nostra nazione nel definitivo gotha mondiale della robotica che conta grazie all’adesione all’IFR, l’International Federation of Robotics, e al lavoro di molti altri protagonisti del calibro, oltre che di Marco Somalvico, di Daniele Fabrizi, Antonio D’Auria e Paolo Dario, solo per fare qualche nome. (continua…)
La seconda parte dell'articolo sarà pubblicata giovedì 11 febbraio