Planetary Resources e una società americana che ha messo al centro della sua attività il recupero dell’acqua e di altri materiali dagli asteroidi. Nel corso del CES tenutosi a Las Vegas nei giorni scorsi ha presentato una serie di oggetti stampati in 3D con l’ausilio di polvere di metallo raccolta da una roccia spaziale.
L’idea futuribile è dunque quella di una stampante 3D utilizzata in ambiente a gravità zero.
Del resto la stessa NASA ritiene la stampa tridimensionale una tecnologia chiave per il futuro dell’esplorazione spaziale, con tanto di ” stazioni” al di fuori dalla Terra specializzate nella produzione 3D di pezzi di ricambio.
In tale ottica, recentemente la NASA ha collaborato con la startup Made In Space per inviare una stampante 3D sulla Stazione Spaziale Internazionale, con l’obiettivo di studiarne il funzionamento in condizioni di microgravità.
La missione spaziale di Arkyd-3R, cubesat che mette alla prova i software
Planetary Resources dal canto suo ha messo in cantiere un progetto legato alla dimostrazione tenuta al CES: estrarre platino e altri metalli preziosi da rocce spaziali, da destinare alla configurazione di una stampante in 3D per ambiente spaziale. A tale riguardo la società ha già lanciato un mini cubesat spaziale in orbita, denominato Arkyd-3R, per testare i software e altre soluzioni tecnologiche ritenute fondamentali per le sue odierne ambizioni.
Un progetto affascinante ma certo complesso. Del resto per competere (e imporsi) nel crescente mercato della stampa in 3d bisogna inventarsi… l’impossibile o quasi. Come uno sbarco sulla Luna.