Pure senza toccare ancora le vette altissime di quello degli UAV, sospinto sia da obiettivi ludici come la fotografia, sia bellici, il mercato dei droni d’acqua sta conoscendo un buon successo come emerso anche nell’ultima edizione della fiera Dronitaly. Cominciando a suscitare interesse tra i player del settore. Uno degli scopi per i quali si pensa ad essi è, per esempio, quello delle ricerche sottomarine di reperti archeologici.
Le difficoltà per un boom definitivo sono i costi, le dimensioni e una discreta assenza di leggi in tema. Specie, naturalmente per un utilizzo in ambito extra-militare dove la legislazione esiste già. Sta di fatto che per poterli mettere in azione per scopi di ricerca è obbligatorio ottenere dalle autorità che sovrintendono il traffico marino il divieto di navigazione di altre strutture nell’area. Complesso dunque programmarli per una missione in autonomia come accade per gli UAV.
A livello di costi, quelli utilizzati per ricerche archeologiche costano comunque intorno ai 40 mila euro. Un botto! Per le dimensioni, si passa da grandi imbarcazioni fino a piccole strutture contenibili nel retro di una macchina.
I droni acquatici di Siralab Robotics: essenziali ma idonei per ricerche in profondità
La società italiana più attiva nel settore, impegnata anche ad affrontare le suddette problematiche, si trova a Terni ed è la Siralab Robotics, creata da due ricercatori del dipartimento di ingegneria dell’Università di Perugia (Giorgio Belloni e Stefano Pagnottelli).I fiori all’occhiello di Siralab sono i droni Galileo TrasiBot e Hydrometra.
Il primo è a guida autonoma e viene utilizzato per il monitoraggio di laghi, tra cui quel Trasimeno che ne ha suggerito il nome. Un’imbarcazione di oltre 6 metri che accoglie gli strumenti per l’analisi delle acque e del materiale dei fondi marini. La composizione basica, ma essenziale e efficace, prevede sonar per generare onde acustiche, un radar per rilevare la presenza di ostacoli, e telecamere gesite da una stazione Ground Control. La sonda può scendere nella superficie marina fino a quasi 50 metri.
Hydrometra, invece, misura circa un metro e mezzo per quasi cento kg. Vanta un’autonomia acquatica pari alle cinque ore e si muove fino una distanza di 5 km dalla base di controllo. Indicato soprattutto per esplorare i fondali alla ricerca di relitti e resti archeologici.