Dai droni utilizzati per la consegna delle merci alle auto senza pilota, il futuro vedrà un numero sempre maggiore di robot autonomi lavorare in rete al servizio dell’uomo. Lo sviluppo di algoritmi di controllo, pianificazione e gestione di tali sistemi di robot, che fa perno sulla comunicazione delle informazioni, e che è fondamentale per trasformare in realtà queste promesse, rappresenta un’area molto battuta dai ricercatori. Non altrettanto, però, almeno finora, il tema legato alla sicurezza di tali sistemi, che potrebbero essere esposti al rischio di attacchi da parte degli hacker.
A lanciare l’allarme sono gli esperti del Massachusetts institute of technology (Mit) di Boston, che in un recente articolo, apparso sulla rivista Autonomous Robots, hanno presentato una nuova soluzione per impedire ai pirati informatici di introdursi nelle reti di comunicazione delle squadre di robot e impedire che compiano azioni dannose. Una soluzione che potrebbe fornire un ulteriore livello di protezione ai sistemi che già cifrano le comunicazioni o rappresentare l’unica difesa in quei casi dove l’impiego della crittografia non è praticabile per motivi tecnici.
Un rischio sottovalutato
«La comunità scientifica si è concentrata sulla messa a punto di sistemi multirobotici sempre più autonomi, ma in un certo senso non ha fatto abbastanza su aspetti di sistema, come la sicurezza informatica e la privacy – ha affermato Daniela Rus, docente di ingegneria elettronica e informatica al Mit -. Quando andiamo a utilizzare questi sistemi multirobotici nelle applicazioni reali, però, li esponiamo a tutti i pericoli che già interessano le reti di computer». Con qualche rischio in più. «Un attacco informatico su un robot ha conseguenze ancora più gravi, in quanto la macchina può essere controllata per compiere azioni dannose nel mondo fisico. Per questo il problema è ancora più urgente di quanto si possa pensare», conclude l’esperta.
Pertanto i ricercatori si sono messi al lavoro per sviluppare un sistema di protezione idoneo a prevenire tali rischi.
L’impronta digitale radio
La maggior parte degli algoritmi di pianificazione nei sistemi multirobot si basa su un qualche tipo di procedura di voto per determinare la linea d’azione dei singoli individui. In pratica, ogni robot invia un input in base alle proprie limitate osservazioni locali, input che vengono aggregati per produrre la decisione finale.
Un modo naturale per infiltrarsi in un sistema multirobotico da parte di un hacker è rubare l’identità di un certo numero di robot per fornire al resto del gruppo informazioni fuorvianti: una tecnica chiamata “spoofing”. Il nuovo sistema messo a punto al Mit impedisce tutto ciò.
Questo infatti analizza i modi diversi con i quali le trasmissioni wireless dei robot interagiscono con l’ambiente, assegnando a ciascuna di esse la propria “impronta digitale” radio: se più informazioni vengono dallo stesso trasmettitore, il sistema le identifica immediatamente come fraudolente e di conseguenza le ignora.
In questo modo è possibile proteggere il sistema anche nei casi in cui il pirata informatico fosse riuscito a decifrare il codice di criptografia, in quanto lo scudo protettivo riconosce come attacco non il contenuto del messaggio, ma il messaggio stesso.
Una soluzione creativa
Il nuovo sistema di sicurezza è stato poi testato in laboratorio, utilizzando un elicottero a guida autonoma e una serie di trasmettitori wifi distribuiti, con risultati incoraggianti, anche se ci sono alcuni aspetti ancora da migliorare, come la precisione della misurazione dell’impronta radio.
«Si tratta di un lavoro che ha implicazioni importanti, dal momento che i sistemi robotici di questo tipo sono ormai all’orizzonte, dalle auto a guida autonoma ai droni per le consegne di Amazon – ha affermato David Hsu, professore di informatica presso l’Università Nazionale di Singapore -. Quella messa a punto è una soluzione creativa e molto diversa dai tradizionali meccanismi di difesa».