Provare simpatia e compassione per un androide in sofferenza? Assolutamente si, secondo una ricerca pubblicata sulla rivista “Scientific Reports”, curata da ricercatori della giapponese Toyohashi University of Technology. Che non si sono fatti problemi nel mostrare al campione selezionato scene cruente di robot aggrediti con armi pericolose!
I ricercatori giapponesi hanno chiesto a un selezionato gruppo di “umani” di guardare delle immagini con androidi e persone raffigurate in situazioni di estremo dolore (tipo ferita con una lama), oppure più neutre. Il gruppo è stato sottoposto, in contemporanea alla visione, a elettroencefalografia.
“La fase di P3 in ascesa (Ndr. l’elaborazione top-down che si palesa come curva nell’elettroencefalografia in seguito alla presentazione dello stimolo) ha mostrato una differenza tra la valutazione delle differenti situazioni – dolorose e non – nel momento in cui il coinvolgimento riguardava le persone; non i robot; le differenze, al contrario, scomparivano nella fase in discesa di P3”, ha riassunto uno dei ricercatori.
In definitiva il campione testato ha denotato empatia con i robot in modalità uguale a quanto avvenuto con la visione degli umani in sofferenza; anche se il processo si rivela più lento guardando i gli androidi, per la difficoltà (dicono i ricercatori) “dell’osservatore di assumere il punto di vista del robot”.
Aspetti etici e nuove frontiere nel rapporto uomo-androide
La ricerca si presta anche a interpretazioni di natura etica, come sottolineato da Pericle Salvini, specialista di interazioni con il mondo robotico presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa: “Per la prima volta è stato dimostrato in modo scientifico quanto avviene nel cervello, laddove non possiamo, in prevalenza, trovarci a nostro agio a fronte di un atto violento consumato ai danni di un androide. Più in generale è possibile provare emozioni pure nei riguardi di una una macchina!”.
“La ricerca di ‘Scientific Reports’ – prosegue Salvini – stimola riflessioni di carattere etico. Come quella sui potenziali diritti delle macchine; o sul consentire o no che una macchina possa subire molestie. E poi: interrogarci sulla natura stessa di robot, capire se abbia senso renderli sempre più umanizzati sviluppando maggiore empatia verso loro”.
Si entra nel tema della cosiddetta “media equation”, vale a dire la scelta di comunicare con le macchine come se fossero realtà virtuali: “Se il fenomeno fosse applicabile ai robot, potremmo empatizzare sia con essi, sia con gli esseri umani. E conoscerne le modalità potrebbe aiutare a sviluppare androidu sempre più friendly, meno estranei” chiosa Yutaka Suzuki, capo dei ricercatori.